UNA PIRAMIDE IN VATICANO

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Molti turisti rimangono colpiti, nel visitare Roma, da un curioso monumento dell’antico impero: la piramide Cestia, eretta nel I Sec. D.C. in zona Ostiense, tomba del septemvirus epulones, Gaio Cestio Epulone.

La Piramide Cestia

La Piramide Cestia

Ma quella non è l’unica piramide costruita e presente nell’antica Roma. Una piramide molto simile si ergeva nella piana del Vaticano, appena oltre il confine nord ovest della città. Di questa piramide, le cui dimensioni dovevano essere simili, se non maggiori di quella Cestia, non è rimasta più traccia nel tessuto urbano contemporaneo di Roma. Non si sa se fosse più antica della tomba di Gaio Cestio Epulone nè quale ne fosse la funzione. Si sa dell’esistenza del monumento principalmente attraverso le succinte descrizioni presenti nelle guide di Roma databili ai secoli XII-XIV, redatte in latino medievale ed in volgare, a beneficio dei pellegrini e dei viaggiatori. Purtroppo questi resoconti non erano molto dettagliati, ma danno ugualmente un’idea di quale aspetto avesse il monumento e di dov’era situato.

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Gli Horti Agrippinae (i Giardini di Agrippina) erano un’area aperta che si estendeva sulla sponda occidentale del Tevere, un tempo esterna ai confini della città, racchiusa tra lo stesso fiume (ad Est), il colle Vaticano (ad Ovest) e il colle Gianicolo (a Sud), corrispondente all’odierno rione Borgo e alla Città del Vaticano. Lì sorgeva anche lo stadio edificato dagli imperatori Gaio (più noto come Caligola) e Nerone, inaugurato nel 56 d.C.. Un altro edificio imponente presso la riva del fiume era il mausoleo dell’imperatore Adriano, terminato attorno al 135 d.C., oggi conosciuto come Castel Sant’Angelo, essendo stato trasformato in una fortezza nell’alto medioevo. La piramide fu eretta tra questi due imponenti edifici e all’incrocio di due assi viari, all’altezza del ponte di Nerone sul Tevere.

Roma - S Pietro, Castel Sant'Angelo, Palazzo di giustizia

Durante il medioevo l’imponenza delle suddette piramidi fece senz’altro presa sull’immaginazione della gente, che le associarono a Romolo, il mitico fondatore e primo re di Roma, e a suo fratello Remo e chiamata Meta Romuli. Alcune fonti parlano esplicitamente del monumento come la Tomba di Romolo. La Meta Romuli rimase integra fino al 1499. In quell’anno papa Alessandro VI fece raddrizzare la principale strada del rione, che ribattezzò dal proprio nome via Alexandrina. Per tale ragione circa metà della piramide, che ostruiva la strada, venne sacrificata. La porzione rimanente scomparve qualche decennio dopo, nel 1564, quando la vicina chiesa di Santa Maria in Traspontina fu demolita e ricostruita 100 metri più in là, dov’è situata ancora oggi.

Esistono diverse raffigurazioni della piramide vaticana in opere d’arte a cavallo tra i secoli XIII e XVII, molte delle quali sono attendibili, perché risalgono al tempo in cui il monumento era ancora esistente. Uno dei primi esempi è un affresco di Cimabue (1280), nella Basilica Superiore di Assisi, purtroppo in cattivo stato di conservazione.

La crocifissione di San Pietro di Cimabue

La crocifissione di San Pietro di Cimabue

La piramide vaticana è rappresentata ancora oggi all’interno delle Stanze Vaticane, oggi Musei Vaticani, nell’affresco La visione della Croce (1520-24), di Giulio Romano e altri aiuti di Raffaello, in cui nel panorama sullo sfondo si scorgono la Meta Romuli e il mausoleo di Adriano.

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NATALE DI ALATRI 2015

Le mura poligonali dell’Acropoli di Alatri, di origine megalitica, sono oggetto da anni di un malinteso relativo alla loro datazione, secondo il quale sarebbero da attribuire alla mano degli antichi Romani. Solo attraverso studi indipendenti sarà possibile ristabilire la verità sull’origine di un sito così controverso, la cui tecnica costruttiva nulla ha a che fare con quella utilizzata dai Romani. Il video mostra la giornata internazionale di studio organizzato il 21 giugno 2015 all’alba del Solstizio d’Estate sull’Acropoli di Alatri a cui hanno partecipato Robert Bauval, Sandro Zicari, Chiara Dainelli, Paolo Debertolis e Daniele Gullà.

IL SIGNIFICATO ASTRONOMICO DEL CAPPELLO A PUNTA DEI MAGHI

Il Mago Gendalf de "Il Signore degli Anelli" di J.R.R. Tolkien

Il Mago Gandalf de “Il Signore degli Anelli” di J.R.R. Tolkien

I maghi sono spesso rappresentati con lunghi cappelli a punta, e, alcune volte, ornati con motivi astronomici. Georges Ivanovič Gurdjieff, nel suo “La Lotta dei Maghi”, descrive la vestizione del mago e, in particolare, il dettaglio del cappello:

Il Mago si toglie i suoi vestiti, riceve degli unguenti da uno dei suoi studenti, se lo spalma sul corpo, si rimette i vestiti e sopra i suoi abituali vestiti indossa una toga con lunghi lembi. La toga è tutta bordata con i segni dello Zodiaco; nella parte posteriore è ricamato il simbolo del pentacolo, e sul petto un teschio e ossa incrociate. Sulla testa pone un alto cappello a punta ricamato con stelle di diverse dimensioni.”

Nell’episodio “L’apprendista Stregone” di Paul Dukas, basato sull’omonima ballata del 1797 di Goethe, del film di Walt Disney, “Fantasia”, Topolino, giovane apprendista dello stregone Yen Sid, indossa proprio il cappello descritto nel copione del balletto di Gurdjieff.

L'Apprendista Stregone di Walt Disney

L’Apprendista Stregone di Walt Disney

Questa volta l’incontro avvenne, ‘per caso’, nel 2012, al Neues Museum di Berlino (il museo famoso nel mondo per il busto di Nefertiti). Al Piano Terra del Museo mi imbattei in una teca contenente il cosiddetto Berliner GoldenHut.

Il Cappello d'Oro al Neues Museum di Berlino

Il Cappello d’Oro al Neues Museum di Berlino

Il Cappello d’oro di Berlino (Berliner Goldhut in tedesco) è un manufatto risalente alla tarda Età del Bronzo (tra il 1000 a.C. e 800 a.C. circa) realizzato in una sottile lamina d’oro. Il Cappello d’oro di Berlino è quello che si è meglio conservato rispetto ai quattro “Cappelli d’Oro” rinvenuti in Europa e risalenti, più o meno, tutti alla stessa epoca. Degli altri tre, due sono stati rinvenuti in Germania e uno in Francia. Tutti e quattro sono stati rinvenuti tra il XIX e XX secolo.

I Cappelli d'Oro

I Cappelli d’Oro

Wilfried Menghin, nel suo trattato “Acta Praehistorica et Archaeologica”, ipotizza che tali oggetti abbiano avuto funzioni calendariali-astronomiche. Lo studioso sostiene che i simboli rappresentano un calendario lunisolare che consentirebbe di ottenere delle date sia nel calendario solare che in quello lunare.

Lo studio del Calendario Luni-Solare sul Cappello d'oro di Berlino

Lo studio del Calendario Luni-Solare sul Cappello d’oro di Berlino

Dal momento che una esatta conoscenza dell’anno era di particolare interesse per la determinazione di eventi religiosi importanti come ad esempio il solstizio d’estate o d’inverno, le conoscenze astronomiche raffigurate sui Cappelli d’Oro erano di alto valore nella società arcaica. Le relazioni scoperte finora permetterebbero il conteggio di unità temporali fino a 57 mesi. Una semplice moltiplicazione di tali valori permetteva anche il calcolo di periodi più lunghi, ad esempio i cicli metonici. Ogni simbolo, o ogni anello di un simbolo, rappresenta un solo giorno. Oltre a questi ornamenti ci sono varie fasce composte da un diverso numero di anelli che rappresentavano i giorni che dovevano essere aggiunti i sottratti al periodo in questione.