Il senso dell’orientamento stellare del Dio Scarabeo Khepri

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Lo scarabeo stercorario si serve degli escrementi per diversi scopi. Se ne nutre e vi depone le uova, e alcuni maschi ne fanno dono alla femmina sperando di far colpo su di lei. La lotta per accaparrarsi lo sterco fresco è intensa. Alcuni tipi di scarabeo formano una pallina di sterco e scappano dal gruppo facendola rotolare fino a un punto in cui il terreno è abbastanza morbido da poterla sotterrare. Lo scarabeo rotola la palla lungo una linea retta per allontanarsi nel modo più rapido, evitando così il rischio che altri scarabei gliela rubino.

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Ma come fa lo scarabeo stercorario a non mettersi a girare a vuoto, specialmente di notte?

Alcuni studi hanno dimostrato che questi scarabei sono in grado di orientarsi grazie alla luce solare e lunare, ma sono anche capaci di procedere in linea retta nelle notti serene senza luna. In Sudafrica alcuni ricercatori hanno scoperto che gli stercorari non si orientano guardando le singole stelle ma usando la banda luminosa generata dalla Via Lattea. Secondo il periodico Current Biology, si tratta del “primo caso documentato in cui nel regno animale si fa uso della Via Lattea per orientarsi”.

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Il ricercatore Marcus Byrne afferma che gli scarabei stercorari possiedono “un vero e proprio sistema di navigazione a vista in grado di funzionare con la più fioca luce stellare sfruttando una limitata capacità di calcolo”. Aggiunge che “hanno quindi il potenziale per insegnare all’uomo a elaborare complesse informazioni visive”.

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Gli scarabei spingono lo sterco con le zampe fin dentro alle proprie tane e vi depongono le uova.

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Gli antichi immaginarono che fosse uno scarabeo a far rotolare il Sole nel mondo sotterraneo durante la notte, per poi spingerlo all’esterno per dare luogo a una nuova alba il mattino seguente. In virtù di questa connessione allo scarabeo venivano aggiunte le ali o gli artigli del falco, animale che rappresenta l’incarnazione del Sole nel cielo.

Il Dio Scarabeo Khepri era colui che spingeva ogni mattina Ra, il dio sole di Eliopoli fuori dalla Duat, l’Oltretomba, rinnovando la rinascita di Nut, madre di Osiride, Iside, Seth e Nefti.

Divenne un amuleto frequentemente usato per auspicare la rinascita dello spirito nel mondo ultraterreno. Un Capitolo del Libro dei Morti  contiene la Formula dello Scarabeo del Cuore, che esortava  il cuore a non testimoniare contro il defunto davanti al Tribunale di Osiride.

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UNA PIRAMIDE IN VATICANO

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Molti turisti rimangono colpiti, nel visitare Roma, da un curioso monumento dell’antico impero: la piramide Cestia, eretta nel I Sec. D.C. in zona Ostiense, tomba del septemvirus epulones, Gaio Cestio Epulone.

La Piramide Cestia

La Piramide Cestia

Ma quella non è l’unica piramide costruita e presente nell’antica Roma. Una piramide molto simile si ergeva nella piana del Vaticano, appena oltre il confine nord ovest della città. Di questa piramide, le cui dimensioni dovevano essere simili, se non maggiori di quella Cestia, non è rimasta più traccia nel tessuto urbano contemporaneo di Roma. Non si sa se fosse più antica della tomba di Gaio Cestio Epulone nè quale ne fosse la funzione. Si sa dell’esistenza del monumento principalmente attraverso le succinte descrizioni presenti nelle guide di Roma databili ai secoli XII-XIV, redatte in latino medievale ed in volgare, a beneficio dei pellegrini e dei viaggiatori. Purtroppo questi resoconti non erano molto dettagliati, ma danno ugualmente un’idea di quale aspetto avesse il monumento e di dov’era situato.

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Gli Horti Agrippinae (i Giardini di Agrippina) erano un’area aperta che si estendeva sulla sponda occidentale del Tevere, un tempo esterna ai confini della città, racchiusa tra lo stesso fiume (ad Est), il colle Vaticano (ad Ovest) e il colle Gianicolo (a Sud), corrispondente all’odierno rione Borgo e alla Città del Vaticano. Lì sorgeva anche lo stadio edificato dagli imperatori Gaio (più noto come Caligola) e Nerone, inaugurato nel 56 d.C.. Un altro edificio imponente presso la riva del fiume era il mausoleo dell’imperatore Adriano, terminato attorno al 135 d.C., oggi conosciuto come Castel Sant’Angelo, essendo stato trasformato in una fortezza nell’alto medioevo. La piramide fu eretta tra questi due imponenti edifici e all’incrocio di due assi viari, all’altezza del ponte di Nerone sul Tevere.

Roma - S Pietro, Castel Sant'Angelo, Palazzo di giustizia

Durante il medioevo l’imponenza delle suddette piramidi fece senz’altro presa sull’immaginazione della gente, che le associarono a Romolo, il mitico fondatore e primo re di Roma, e a suo fratello Remo e chiamata Meta Romuli. Alcune fonti parlano esplicitamente del monumento come la Tomba di Romolo. La Meta Romuli rimase integra fino al 1499. In quell’anno papa Alessandro VI fece raddrizzare la principale strada del rione, che ribattezzò dal proprio nome via Alexandrina. Per tale ragione circa metà della piramide, che ostruiva la strada, venne sacrificata. La porzione rimanente scomparve qualche decennio dopo, nel 1564, quando la vicina chiesa di Santa Maria in Traspontina fu demolita e ricostruita 100 metri più in là, dov’è situata ancora oggi.

Esistono diverse raffigurazioni della piramide vaticana in opere d’arte a cavallo tra i secoli XIII e XVII, molte delle quali sono attendibili, perché risalgono al tempo in cui il monumento era ancora esistente. Uno dei primi esempi è un affresco di Cimabue (1280), nella Basilica Superiore di Assisi, purtroppo in cattivo stato di conservazione.

La crocifissione di San Pietro di Cimabue

La crocifissione di San Pietro di Cimabue

La piramide vaticana è rappresentata ancora oggi all’interno delle Stanze Vaticane, oggi Musei Vaticani, nell’affresco La visione della Croce (1520-24), di Giulio Romano e altri aiuti di Raffaello, in cui nel panorama sullo sfondo si scorgono la Meta Romuli e il mausoleo di Adriano.

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A PYRAMID INSIDE THE VATICAN

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Many people know one of the great, most curious, ancient roman ruins, the pyramid where Cestius was buried (first century BC). Yet this is not the only monument of this kind to have been built in ancient Rome.

Piramide Cestia

The Piramide Cestia in Rome

A very similar one once stood in the Vatican area, just outside the north-western boundary of the city. Of this second pyramid, whose size was similar to the surviving one, if not even larger, no trace at all has survived. Whether it was older than the aforesaid tomb of Gaius Cestius cannot be told, nor what was its purpose, although it may have likely been another tomb, as well. We know about the monument mostly from scanty descriptions found in guides of Rome dating back to the 12th-14th centuries, written in medieval Latin and in early Italian, for the benefit of pilgrims and travellers. Unfortunately, these accounts were not very detailed, but still give us an idea of what the monument looked like, and where it was located.

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The Horti Agrippinae (Gardens of Agrippina) were an open area on the western bank of the Tiber, once outside the city boundary, bordered by the river itself (to the east), the Vatican Hill (to the west) and the Janiculum Hill (to the south), which today corresponds to Borgo district and the Vatican City. There stood the circus built by emperors Gaius (better known as Caligula) and Nero. Not far away, at the bank of the majestic river stood the Mausoleum of Hadrian, renamed Castel Sant’Angelo after being transformed into a fortification. The pyramid was built between these two large buildings at the intersection of two main streets , just across the bridge of Nero.

Roma - S Pietro, Castel Sant'Angelo, Palazzo di giustizia

During the Middle Ages the grandeur of the white pyramid certainly captured the attention of the common people, who related them to Romulus, the mythical founder and first king of Rome, and to his brother Remus and known as Meta Romuli. Some sources speak explicitly of the monument in terms of “Tomb of Romulus”.

The Meta Romuli survived as a whole until 1499. In that year, pope Alexander VI had the main street of Borgo district straightened, and renamed via Alexandrina after himself. For this reason about one half of the pyramid, which obstructed the street, was sacrificed. The remaining part disappeared a few decades later, in 1564, when the nearby church of Santa Maria in Traspontina was taken down and rebuilt 100 metres off the original spot, where it still stands today.

Several depictions of the Meta Romuli exist in works of art, spanning from the 13th to the 17th centuries, most of which are reliable, as they date back to times when the monument was still standing. One of the earliest examples is a fresco by Cimabue (1280 A.D.), in the Upper Basilica in Assisi, unfortunately in a poor state of preservation.

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Crucifixion of Saint Peter by Cimabue

The Vatican Pyramid is also featured in the fresco The Vision of the Cross (1520-24) inside Vatican Rooms, by Giulio Romano and other assistants of Raphael, whose landscape in the background also includes Hadrian’s tomb.

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The Fibonacci numbers have been discovered on a church in Pisa

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For over eight hundred years the façade of the church of San Nicola in Pisa has watched over a message that nobody has ever read before. Recently the front has been restored and the marble cleaned.

The church of San Nicola in Pisa

The church of San Nicola in Pisa

During the process a professor of the University of Pisa, Pietro Armienti, an expert in petrology, closely observed the circular and rectangular inlays of one of the church’s lunettes and discovered a coded message. Studying its geometry the professor realized that the symbols were an explicit reference to the findings of the first great western mathematician Leonardo Fibonacci, who was born in Pisa around 1170. Professor Armienti has just published his research report on “Journal of Cultural Heritage”.

The Church of San Nicola has a first mention in 1097. In 1297-1313 the Augustinians enlarged it probably under design by Giovanni Pisano. During the following centuries the ravages of time left its mark on the inlays of the façade making them unreadable. After its recent restoration, the message carved in the lunette of the portal has emerged with all its details, proving to be a valuable artefact which celebrates the insights that marked the birth in Pisa of a school of thought that transformed the medieval vision of the world and turned Pisa into the cradle of modern scientific thought.

What is Fibonacci Sequence?

Fibonacci's Sequence

Fibonacci’s Sequence

Leonardo Bonacci (c. 1170 – c. 1250), known as Fibonacci,was an Italian mathematician, considered to be the most talented Western mathematician of the Middle Ages.

Leonardo Pisano - Fibonacci

Leonardo Pisano – Fibonacci

Fibonacci was born around 1170 to Guglielmo Bonacci, a wealthy Italian merchant and, by some accounts, the consul for Pisa. Guglielmo directed a trading post in Bugia, a port in the Almohad dynasty’s sultanate in North Africa. Fibonacci travelled with him as a young boy, and it was in Bugia (now Béjaïa, Algeria) that he learned about the Hindu–Arabic numeral system. Fibonacci travelled extensively around the Mediterranean coast, meeting with many merchants and learning of their systems of doing arithmetic. He soon realised the many advantages of the “Hindu-Arabic” system. In 1202 he completed the Liber Abaci (Book of Abacus or Book of Calculation) which popularized Hindu–Arabic numerals in Europe.

Liber Abaci posed, and solved, a problem involving the growth of a population of rabbits based on idealized assumptions. The solution, generation by generation, was a sequence of numbers later known as Fibonacci numbers. Although Fibonacci’s Liber Abaci contains the earliest known description of the sequence outside of India, the sequence had been noted by Indian mathematicians as early as the sixth century. In the Fibonacci sequence of numbers, each number is the sum of the previous two numbers.

Fibonacci Sequence in Nature

The Fibonacci numbers are Nature’s numbering system.

Nautilus

Nautilus

They appear everywhere in Nature, from the leaf arrangement in plants, to the pattern of the florets of a flower, the bracts of a pinecone, or the scales of a pineapple.

Aloe

Aloe

The Fibonacci numbers are therefore applicable to the growth of every living thing, including a single cell, a grain of wheat, a hive of bees, and even all of mankind. Plants do not know about this sequence – they just grow in the most efficient ways. Many plants show the Fibonacci numbers in the arrangement of the leaves around the stem. Some pine cones and fir cones also show the numbers, as do daisies and sunflowers.

Sunflower's seed arrangement

Sunflower’s seed arrangement

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Apparently studying the diameters of the various circles one obtains the first nine elements of the Fibonacci sequence: 1,2, 3, 5, 8, 13, 21, 34 and 55. According to Professor Armienti the reference could not be more explicit and directly connects the inlay to the work of the great mathematician, or at least to a circle of his immediate colleagues or students. It appears that the inlay is an abacus which represents irrational numbers as well as made to calculate with good approximation the sides of the regular polygons inscribed in the circle with the largest diameter.
This is thus an important monument designed to instruct the elites according to the Scholastic programme. A precious gift which has been sent down to us from over eight hundred years ago and which can finally be valued.

La serie di Fibonacci sulla facciata della chiesa di San Nicola a Pisa

Le geometrie dell'intarsio contenuto nella lunetta esplicito alla sequenza di Fibonacci

Le geometrie dell’intarsio contenuto nella lunetta esplicito alla sequenza di Fibonacci

È un richiamo esplicito alle scoperte del primo grande matematico dell’Occidente cristiano, Leonardo Fibonacci, ed è riemerso durante un recente restauro che ha riportato alla luce i marmi della Chiesa di San Nicola in via Santa Maria a Pisa.

La chiesa di San Nicola a Pisa

La chiesa di San Nicola a Pisa

Un originale studio del prof. Pietro Armienti, docente di Petrologia e Petrografia dell’Università di Pisa, recentemente pubblicato sul Journal of Cultural Heritage, ha permesso di interpretare le eleganti geometrie dell’intarsio della lunetta sopra l’originario portale principale come un riferimento alla celebre successione numerica individuata dal matematico pisano.
“Per secoli i segni del tempo avevano reso illeggibili gli intarsi della facciata della chiesa, la cui costruzione, che risale al XIII secolo, viene da molti attribuita a Nicola Pisano. Dopo il restauro, il messaggio scolpito nella lunetta del portale è emerso in tutti i suoi dettagli e ha permesso di dimostrare che il pregevole manufatto, che ha comportato il lavoro congiunto di matematici, teologi, artigiani, celebra le intuizioni che segnarono a Pisa la nascita di una scuola di pensiero capace di trasformare la visione medievale del mondo e di fare della città la culla della pensiero scientifico moderno.

Cos’è la sequenza di Fibonacci?

La sequenza di Fibonacci

La sequenza di Fibonacci

Leonardo Pisano detto il Fibonacci (1175-1250), cioè figlio di Bonaccio, individuò questa serie per la prima volta nel 1202, per risolvere un problema pratico: quante coppie di conigli si ottengono in un anno da una sola coppia supponendo che produca ogni mese (tranne il primo) una nuova coppia che a sua volta diventa fertile a partire dal secondo mese? (La risposta è 144 coppie di conigli).

Leonardo Pisano detto il Fibonacci

Leonardo Pisano detto il Fibonacci

Assieme al padre Guglielmo dei Bonacci, facoltoso mercante pisano e rappresentante dei mercanti della Repubblica di Pisa nella zona di Bugia in Cabilia (regione dell’odierna Algeria), passò alcuni anni in quella città, dove studiò i procedimenti aritmetici che studiosi musulmani stavano diffondendo nelle varie parti del mondo arabo. Qui ebbe anche precoci contatti con il mondo dei mercanti e apprese tecniche matematiche sconosciute in Occidente. Alcuni di tali procedimenti erano stati introdotti per la prima volta dagli indiani, portatori di una cultura molto diversa da quella mediterranea. Proprio per perfezionare queste conoscenze Fibonacci viaggiò molto, arrivando a Costantinopoli, alternando il commercio con gli studi matematici. Molto dovette ai trattati di Muhammad ibn Musa al-Khwarizmi, Abu Kamil e ai maestri arabi, senza però essere mero diffusore della loro opera. Ritornato in Italia, la sua notorietà giunse anche alla corte dell’imperatore Federico II, soprattutto dopo aver risolto alcuni problemi del matematico di corte. Per questo motivo gli fu assegnato un vitalizio che gli permise di dedicarsi completamente ai suoi studi.

Nel 1202 pubblicò, e nel 1228 riscrisse (lo fece pubblicare solo dopo la sua morte però, lasciandolo nel suo testamento) il Liber abbaci, opera in quindici capitoli con la quale introdusse per la prima volta in Europa (nel capitolo I) le nove cifre, da lui definite “indiane”, e il segno 0 che in latino è chiamato zephirus, adattamento dell’arabo sifr, ripreso a sua volta dal termine sanscrito śūnya, che significa “vuoto”. Zephirus in veneziano divenne zevero ed infine comparve l’italiano “zero”. Per mostrare ad oculum l’utilità del nuovo sistema egli pose sotto gli occhi del lettore una tabella comparativa di numeri scritti nei due sistemi, romano e indiano. Fibonacci espose così per la prima volta in Europa la numerazione posizionale indiana (adottata poi dagli arabi). All’epoca il mondo occidentale usava i numeri romani e il sistema di numerazione greco e i calcoli si eseguivano con l’abaco. Questo nuovo sistema stentò molto ad essere accettato, tanto che nel 1280 la città di Firenze proibì l’uso delle cifre arabe da parte dei banchieri. Si riteneva infatti che lo “0” apportasse confusione e venisse impiegato anche per mandare messaggi segreti e, poiché questo sistema di numerazione veniva chiamato “cifra”, da tale denominazione deriva l’espressione “messaggio cifrato”.

Nella successione di Fibonacci ogni numero è il risultato della somma dei due precedenti: 0, 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13… fino all’infinito. Fino al XIX secolo a questa successione non fu attribuita alcuna importanza, finché si scoprì che può essere applicata, per esempio, nel calcolo delle probabilità, nella sezione aurea e nel triangolo aureo.

La sezione di un Nautilus

La sezione di un Nautilus

I numeri di Fibonacci si trovano anche in natura, per esempio nella disposizione delle foglie.

La pianta di Aloe

La pianta di Aloe

In molti alberi, scegliendo una foglia su uno stelo e assegnandole il numero “0”, contando il numero di foglie fino ad arrivare a una perfettamente allineata con la foglia “0”, probabilmente si troverà un numero di Fibonacci. Anche i petali di moltissimi fiori sono un numero di Fibonacci.

Girasole

Girasole

Secondo l’interpretazione del professor Armienti, le eleganti simmetrie dell’opera sono un richiamo diretto alle scoperte del matematico pisano: “Se si assume come unitario il diametro dei cerchi più piccoli dell’intarsio, i più grandi hanno diametro doppio, i successivi triplo, mentre quelli di diametro 5 sono divisi in spicchi nei quadratini ai vertici del quadrato in cui è inscritto il cerchio principale, quello centrale ha diametro 13 mentre il cerchio che circoscrive i quadratini negli angoli ha diametro 8. Gli altri elementi dell’intarsio disposti secondo tracce circolari individuano circonferenze di raggio 21 e 34, infine il cerchio che circoscrive l’intarsio ha diametro 55 volte più grande del circolo minore. 1,2,3,5,8,13,21,34,55 sono i primi nove elementi della successione di Fibonacci”.

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Per Armienti, il riferimento non potrebbe essere più esplicito e collega direttamente l’intarsio all’opera del grande matematico o a una cerchia di suoi diretti collaboratori o allievi. L’intarsio di fatto è un abaco per rappresentare numeri irrazionali come p o il rapporto Aureo f, oltre che per calcolare con un’ottima approssimazione i lati dei poligoni regolari inscritti nel cerchio diametro maggiore. Si tratta dunque di un importante monumento la cui presenza era stata concepita per l’educazione delle élites, secondo il programma della filosofia scolastica: un dono prezioso della sapienza degli antichi giunto dopo ottocento anni di oblio.

La stella Sirio e i Santi Cani di Agosto

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San Cristoforo Cinocefalo, Museo Bizantino e Cristiano di Atene

I giorni estivi, quelli più caldi di agosto, dominati dal segno del Leone, sono detti anche della Canicola perché anticamente, in estate, splendeva nel cielo la costellazione del Cane Maggiore, che contiene, proprio sul muso, Sirio la stella più luminosa del firmamento, spesso indicata essa stessa come Cane.
Il nome Sirio deriva dal greco seiriào, che significa ardente.

La costellazione del Cane Maggiore e la Stella Sirio

La costellazione del Cane Maggiore e la Stella Sirio

Ai tempi degli egizi, levava a ridosso del Solstizio estivo e annunciava, come una sentinella, la piena del Nilo. A causa della progressione degli equinozi, nel primo millennio avanti Cristo, levava con il sole a luglio, dominando così i giorni più caldi d’estate, mentre ai tempi nostri leva a settembre per apparire ad ottobre verso sud est.
Molti sono i miti legati alla costellazione del Cane. Secondo alcuni rappresenta il cane di Orione, raffigurato dalla vicina costellazione; secondo un’altra vulgata, si tratterebbe di Maira, la cagna di Icario. Icario era un giardiniere dell’Attica, al quale Dioniso dopo aver rivelato la coltivazione della vite, diede ordine di partire per diffonderla fra gli uomini. Alcuni contadini, dopo essersi ubriacati, pensando che volesse derubarli, lo uccisero e ne sotterrarono il corpo.

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Dionisio, Erigone e Icario

Fu la figlia Erigone, accompaganta dalla cagnetta Maira, a ritrovarlo e dal dolore si impiccò. Strana vicenda quella di Erigone: vergine povera ed errante, ma unica fra le donne legate in qualche modo a Dioniso, ad accedere al Cielo, nella costellazione della Vergine. Il suo ricordo restò vivo nell’immaginario greco ricordata nella cerimonia delle Antesterie, quando le ragazzine ateniesi poco prima di lasciare la fanciullezza e prendere marito, si dondolavano sulle altalene e appendevano bamboline ai rami degli alberi.
Di una Vergine Errante raccontano anche gli egizi: accompagnata dal cane Anubi, Iside vagò a lungo alla ricerca dello sposo – fratello Osiride, associato alla costellazione di Orione.

Il Dio Anubi - Libro dei Morti

Il Dio Anubi – Libro dei Morti

Si dice che Iside, dopo la morte di Osiride, si strappò un ricciolo dai capelli; lo stesso fece anche Erigone. Ed infatti, poco distante dal Cane e dalla Vergine c’è un’altra costellazione immaginata come un ricciolo: la Chioma di Berenice. La levata eliaca di Sirio  avviene mentre la costellazione della Vergine sorge ad Est. Questo molto verosimilmente è il motivo perché questo particolare momento fu associato ad una dea-vergine.

Priamo, dalle altis­sime mura della città di Troia, vede soprag­giun­gere il temi­bile Achille, rab­bioso come un cane nella sua splen­dente arma­tura: «rag­giante come una stella cor­reva per la pianura;/ come si leva l’astro autun­nale, chiari i suoi raggi/ appa­iono fra innu­me­re­voli stelle nel cuor della notte:/ esso è chia­mato il Cane d’Orione,/ ed è il più lucente, ma dà pre­sa­gio sinistro/ e molta feb­bre porta ai mor­tali infe­lici».
Nell’Iliade ogni imma­gine, ogni meta­fora è stu­diata e con­di­visa da chi l’ascolterà. Qui Achille è preso da lyssa, la rab­bia dei guer­rieri, e tra poco, furente, «come il fuoco», farà a pezzi il suo rivale Ettore, mas­sa­cran­done il cada­vere come un cane idro­fobo. Quando, molti secoli dopo, si sco­prì il virus che tra­smette la rab­bia, non fu un caso se lo si chiamò Lyssavirus.

Achille contro Ettore

Achille contro Ettore

Achille per Omero è la stella Sirio, della costel­la­zione del Cane d’Orione (Cane Mag­giore), il mitico cac­cia­tore ucciso dalla dea Diana e da Giove tra­sfor­mato in costellazione.

La stella Sirio segnava l’inizio del caldo sof­fo­cante, della cani­cola (da cani­cula, «pic­colo cane»), quando sor­geva e tra­mon­tava con il Sole, secondo una tra­di­zione medie­vale da san Cri­sto­foro a san Bar­to­lo­meo, cioè dal 24 luglio al 24 ago­sto. Forse la sua «forma» canina è legata al fatto che gli anti­chi abi­tanti del Medi­ter­ra­neo cono­sce­vano gli effetti che il periodo aveva sui cani: certo più agili e sve­gli durante la cac­cia, ma il loro affan­noso ansi­mare poteva con­durli ad un’eccessiva disi­dra­ta­zione e quindi alla malat­tia e alla rab­bia. Pli­nio scrive: «la rab­bia dei cani è dan­no­sis­sima per l’uomo quando insorge durante il periodo (…) in cui brilla la stella Sirio: nelle per­sone che sono state così morse si sviluppa una letale idro­fo­bia». In una men­ta­lità intrisa di magi­che con­nes­sioni il rime­dio sarà la radice di una rosa, cono­sciuta oggi come rosa canina. E allora San Rocco, festeggiato il 16 ago­sto, è rappresentato accom­pa­gnato da un cagno­lino con in bocca una rosetta. Sarebbe stato infatti il qua­dru­pede a sal­var­gli la vita por­tan­do­gli quo­ti­dia­na­mente da man­giare quando era ancora debole e solo, appena scam­pato dalla malattia.

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San Rocco e il cane

San Cristoforo, il cinocefalo tra­ghet­ta­tore di umani, è ricor­dato il 25 luglio, la sua sto­ria viene nar­rata da Jacopo da Vara­gine in modo molto roman­zato: era un gigante di altis­sima sta­tura che, desi­de­roso di ser­vire il re più potente della terra, si mise al seguito di vari per­so­naggi, com­preso il dia­volo.

Santi Cristoforo cinocefalo e Giorgio, Macedonia, VI-VII secolo

Santi Cristoforo cinocefalo e San Giorgio, Macedonia, VI-VII secolo

Ma un giorno, vedendo costui tre­mare davanti a una croce, comin­ciò a cer­care Cri­sto, con­ver­ten­dosi al cri­stia­ne­simo. Divenne un tra­ghet­ta­tore di per­sone lungo un fiume piut­to­sto peri­co­loso ma, visto che era un gigante, gli veniva abba­stanza facile. Un bel giorno, gli chiese di essere tra­ghet­tato un bam­bino, che però durante il per­corso divenne sem­pre più pesante, come un piombo, tanto che lo stesso Cri­sto­foro cre­dette di anne­gare. Giunti final­mente a riva, Cri­sto­foro spiegò la sua paura e disse che gli sem­brava di aver tra­spor­tato tutto il peso del mondo. A que­sto, il «bam­bino» spiegò: «Non stu­pirti, Cri­sto­foro, per­ché sulle tue spalle non sol­tanto hai por­tato tutto il mondo, ma colui che ha creato il mondo».

San Cristoforo cinocefalo, Bitinia (Chiesa di San Giorgio, Cegelkoy, Turchia)

San Cristoforo cinocefalo, Bitinia (Chiesa di San Giorgio, Cegelkoy, Turchia)

Nella tra­di­zione orien­tale Cri­sto­foro è un gigante con la testa di cane, pro­ve­niente dalla terra cana­nea o da Cino­poli, la «città dei cani». Il suo mar­ti­rio fu all’insegna del calore, essen­do­gli stato, tra l’altro, calato sul capo un casco arro­ven­tato men­tre sedeva su di una sedia, anch’essa rovente.
Un altro cane, con una tor­cia accesa in bocca, ritorna nell’iconografia di san Dome­nico di Guz­man, festeg­giato il 6 ago­sto. Fon­da­tore dell’ordine dei pre­di­ca­tori, in un gioco di parole detti «Domini canes», i «cani del Signore», ovvero i Dome­ni­cani. La sua legenda rac­conta che la madre, ancora incinta di lui, avesse sognato di por­tare in grembo un pic­colo cane con in bocca una tor­cia con la quale infiam­mava l’universo.

Coello Claudio “San Domenico di Guzman” - Olio su tela, 1685, Museo del Prado, Madrid

Coello Claudio “San Domenico di Guzman” – Olio su tela, 1685, Museo del Prado, Madrid

Due cani all'ingresso della chiesa dominicana di San Lucifero a Cagliari

Due cani all’ingresso della chiesa dominicana di San Lucifero a Cagliari

Dalla furia di Achille al cagno­lino sco­din­zo­lante di san Rocco, vin­ci­tore su di un altro sim­bo­lico fuoco, quello della Peste Nera, la cani­cola nei mil­lenni è stata oggetto di una rein­ter­pre­ta­zione in chiave mitico-rituale che ha per­messo agli uomini di gestirla, di sop­por­tarla, di non averne paura. Per­ché a volte può essere dav­vero peri­co­losa, soprat­tutto quando il sole è allo zenith, a mez­zo­giorno, tempo in cui la natura sem­bra fer­marsi e gli effetti fecon­danti dell’astro solare cedono il passo a sen­sa­zioni oppri­menti, al tae­dium vitae e ai demoni più ter­ri­bili: dalle empuse al dio Pan e alle ninfe, che in agguato presso le sor­genti d’acqua acce­cano chiun­que osi guar­darli; dalle sirene, già nell’antichità messe in rela­zione con la stella Sirio, alle arpie o ai vam­piri, sem­pre pronti a dis­sec­care gli incauti che sfi­dano gli dei e i tabù dei demoni meri­diani. Ma anche ai pic­coli insetti che mor­dono e rimor­dono sotto i lividi cieli asso­lati del Medi­ter­ra­neo: chi ha detto che il male debba neces­sa­ria­mente appo­starsi nell’ombra? Il caldo abba­gliante del mez­zo­giorno può essere ben più mali­gno, acce­cante e allucinatorio.

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Bibliografia:

A Mario Sordi, Il Santo Cane

C. Corvino, I messaggeri bollenti di Sirio

NATALE DI ALATRI 2015

Le mura poligonali dell’Acropoli di Alatri, di origine megalitica, sono oggetto da anni di un malinteso relativo alla loro datazione, secondo il quale sarebbero da attribuire alla mano degli antichi Romani. Solo attraverso studi indipendenti sarà possibile ristabilire la verità sull’origine di un sito così controverso, la cui tecnica costruttiva nulla ha a che fare con quella utilizzata dai Romani. Il video mostra la giornata internazionale di studio organizzato il 21 giugno 2015 all’alba del Solstizio d’Estate sull’Acropoli di Alatri a cui hanno partecipato Robert Bauval, Sandro Zicari, Chiara Dainelli, Paolo Debertolis e Daniele Gullà.

How the Buddha became a Christian Saint

St. Barlaam and St. Josaphat: A Christian Folktale of the Buddha

St. Barlaam and St. Josaphat

St. Barlaam and St. Josaphat

The tale of the hermit St. Barlaam and his convert St. Josaphat is a curious link between Christianity and Buddhism, since at least the beginning of the story is unmistakably an account of the early life of the Buddha. The story is thought to have been composed by John of Damascus in the 6th century AD. It also appears, in abridged form, in the Golden Legend of Jacobus de Voragine. The attempted seduction of St. Josaphat by the beautiful maiden seems to be a Christian reworking of part of the conflict between the future Buddha and the dark lord, Mára.

The legend is set in India. The young prince is brought up in ignorance of old age, sickness and death; but eventually finds out about their existence during excursions from the palace. Prince Josaphat then meets the hermit Barlaam, a Christian missionary, who preaches in parables. The young prince becomes a convert to Christianity. After unsuccessfully attempting to dislodge him from the new faith by various stratagems, his father King Avennir receives a visit from the sorcerer Theodas, who offers to help him. On the sorcerer’s advice, the king replaces the prince’s male attendants with beautiful women (as Shakyamuni’s father also does in the Buddhist version). Theodas sends an evil spirit into Josaphat’s heart to inflame him with lust. The women flirt with Josaphat but fail to seduce him.

The king then sends to Josaphat the orphan daughter of a king, a beautiful maiden. The young prince attempts to convert her to his new religion, to which she responds that she will only convert if Josaphat will marry her. Josaphat tells her that he has taken a vow of chastity. The nameless maiden tells him, if you want to save my soul, grant me one little request: sleep with me tonight, just once is all I ask, and I promise you I will become a Christian first thing tomorrow morning… just do as I ask this once and you will win my salvation. Josaphat prays and receives a vision of heaven. He rejects the temptress, and is attacked by evil spirits. Josaphat destroys them by making the sign of the cross.And so the Buddha became a Christian saint, and even received a feast-day, 27 November.

Shakyamuni Buddha

Shakyamuni Buddha

The Institute for East-West Cultural Exchange (head of research group: Lee Jong-hwa, Professor of Myong-ji University) analyzed both Arabic and European literatures in the Middle Age, and argues that ‘Buddha legend’ spread from Persia to Georgia(Gruzhia) to Greece, and finally to Spain. Buddha was revered as a Christian saint in Medieval Europe. Kim Hun, a lecturer in Seoul National University, who took part in the research published the result in June-July issue of ‘Anticus’, a humanity-oriented magazine.

The original ‘Buddha’ or ‘Bodhisatta’ in Sanskrit (“Enlightenment Being,” one destined to attain Nirvana, enlightenment ), turned up as ‘Bodisav’ in 6-7th century Manichean literature in Ancient Persian, which in turn appeared as Budahsaf in 8th-century Arabic literature, which turned into ‘Iodasaph’ in 10th-century Georgian literature. In 11th-century Greek literature, it showed up as a Christian monk ‘Ioasaph,’ which finally became the Christian saint ‘Josaphat’ in Spain.

The story of Barlaam and Josaphat was popular in the Middle Ages, appearing in such works as the Golden Legend, and a scene there involving three caskets eventually appeared, via Caxton’s English translation of a Latin version, in Shakespeare’s “Merchant of Venice”.

CHI E’ PASQUINO?

La statua del Pasquino tra piazza Navona e Campo dè Fiori a Roma

La statua del Pasquino tra piazza Navona e Campo dè Fiori a Roma

Pasquino è la più celebre statua parlante di Roma, divenuta figura caratteristica della città fra il XVI ed il XIX secolo, tra piazza Navona e Campo dè Fiori. Ai piedi della statua, ma più spesso al collo, si appendevano, e si appendono ancora oggi, nella notte fogli contenenti satire in versi, dirette a pungere anonimamente i personaggi pubblici più importanti. Erano le cosiddette “pasquinate”, dalle quali emergeva, non senza un certo spirito di sfida, il malumore popolare nei confronti del potere e l’avversione alla corruzione ed all’arroganza dei suoi rappresentanti.

Ma chi è Pasquino? O meglio, che cosa rappresenta la statua che oggi è uno dei simboli dell’irriverenza e denuncia degli abusi del potere costituito?

pasquino

La statua è un frammento di un’opera in stile ellenistico, risalente al III secolo a.C., ritrovata nel 1501 durante gli scavi per la pavimentazione stradale e la ristrutturazione del Palazzo Orsini (oggi Palazzo Braschi), proprio nella piazza dove oggi ancora si trova. Si tratta del gruppo statuario “Menelao che sorregge il corpo di Patroclo morente”, impiegata per l’ornamento dello Stadio di Domiziano, oggi coperto da piazza Navona. Una copia integra del “Menelao che sorregge il corpo di Patroclo morente”, oggi è esposta tra le statue poste sotto la Loggia dei Lanzi a Firenze.

menelao

Menelao che sorregge Patroclo (Loggia dei Lanzi – Firenze)

 

Il Menelao rappresenta un classico esempio del cosiddetto barocco ellenistico, ovvero quella corrente estremamente “patetica” che si sviluppa nel III a.C. alla corte dei successori di Alessandro Magno.

Quello che viene popolarmente chiamato Pasquino è quindi la rappresentazione del momento più drammatico della guerra di Troia, l’attimo in cui cambieranno drasticamente le sorti della battaglia: la morte di Patroclo. Insieme all’amico Achille, Patroclo si recò alla guerra di Troia, dove si conquistò gloria e rispetto, e quando Achille si ritirò dalla battaglia, in seguito alla lite con Agamennone, Patroclo, indossate le sue armi, ne prese il posto, portando scompiglio nelle schiere avversarie e ribaltando le sorti della battaglia. Ma non tenne conto del consiglio dell’amico, ossia limitarsi a respingere i troiani dall’accampamento acheo, e questo ne causò la caduta. In un primo momento Apollo lo stordì, colpendolo due volte e respingendolo alle mura di Troia, che altrimenti avrebbe conquistato, poi Euforbo lo ferì con un colpo di lancia e infine Ettore gli diede il colpo di grazia, trapassandolo con la lancia dalla propria biga. Spogliato delle armi, il cadavere di Patroclo fu conteso dai due schieramenti nel corso di una lotta furiosa che si concluse solo con l’arrivo di Achille: al suo grido, i troiani fuggirono in preda al terrore all’interno delle mura della città. Sconvolto dal dolore, dopo aver organizzato i giochi funebri in onore del compagno, Achille riprese parte alla guerra.

ASTRONOMICAL INTERPRETATION OF WIZARD’S HAT

The Wizard Gandalf of The Lord of the Ring by  J.R.R. Tolkien

The Wizard Gandalf of The Lord of the Ring by J.R.R. Tolkien

Wizards are often represented with a high, pointed hat and, sometimes decorated with stars and planets. Georges Ivanovič Gurdjieff, in his Scenario of the Ballet “The Struggle of the Magicians”, describes wizard’s dressing and, specifically, his hat:

“The Magician takes off his garment, receives some unguent from one of his pupils, smears it over his body, resumes his garment and over his usual dress puts on a robe withvery wide sleeves. The robe is bordered all round with the signs of the Zodiac; on the back is embroidered the symbol of the pentagram, on the breast a skull and crossbones. On his head he places a high pointed head-dress embroidered with large and small stars.”

In the episode “The Sorcerer’s Apprentice” by Paul Dukas, based on Goethe’s 1797 poem “Der Zauberlehrling” of the movie “Fantasia” by Walt Disney, Mickey Mouse, young apprentice of the sorcerer Yen Sid, wears precisely the hat as described by Gurdjieff.

“The Sorcerer's Apprentice”  by Walt Disney

“The Sorcerer’s Apprentice” by Walt Disney

The encounter, one more time, happened “by chance” at Neues Museum (world-renowned for Egyptian Nefertiti bust) in Berlin, Germany. At Ground Floor of the museum, I bumped into a glass case containing the Berliner GoldenHut, the Berlin Gold Hat.

 

Berlin Gold Hat - Neues Museum - Berlin

Berlin Gold Hat – Neues Museum – Berlin

The Berlin Gold hat is a very specific and rare type of archaeological artifact from Bronze Age Europe. So far, four such objects (“cone-shaped gold hats of the Schifferstadt type”) are known. The objects are made of thin sheet gold and were attached externally to long conical and brimmed headdresses which were probably made of some organic material and served to stabilise the external gold leaf. The following Golden Hats are known:

  • Golden Hat of Schifferstadt, found in 1835 at Schifferstadt near Speyer, circa 1400–1300 BC;
  • Avanton Gold Cone, incomplete, found at Avanton near Poitiers in 1844, circa 1000–900 BC;
  • Golden Cone of Ezelsdorf, found near Nuremberg in 1953, circa 1000–900 BC;
  • Berlin Gold Hat, found probably in Swabia or Switzerland, circa 1000–800 BC.

 

The four Golden Hats

The four Golden Hats

The Golden Hats served as religious insignia for the deities or priests of a sun cult then widespread in Central Europe. Wilfried Menghin, in his “Acta Praehistorica et Archaeologica”, verified that the ornamentation of the gold leaf cones of the Schifferstadt type, to which the Berlin example belongs, represent a lunisolar calendar. The object would have permitted the determination of dates or periods in both lunar and solar calendars.

Luni-Solar Calendar on Berlin Gold Hat

Luni-Solar Calendar on Berlin Gold Hat

The functions discovered so far would permit the counting of temporal units of up 57 months. A simple multiplication of such values would also permit the calculation of longer periods, e.g. metonic cycles. Each symbol, or each ring of a symbol, represents a single day.