Pasquino è la più celebre statua parlante di Roma, divenuta figura caratteristica della città fra il XVI ed il XIX secolo, tra piazza Navona e Campo dè Fiori. Ai piedi della statua, ma più spesso al collo, si appendevano, e si appendono ancora oggi, nella notte fogli contenenti satire in versi, dirette a pungere anonimamente i personaggi pubblici più importanti. Erano le cosiddette “pasquinate”, dalle quali emergeva, non senza un certo spirito di sfida, il malumore popolare nei confronti del potere e l’avversione alla corruzione ed all’arroganza dei suoi rappresentanti.
Ma chi è Pasquino? O meglio, che cosa rappresenta la statua che oggi è uno dei simboli dell’irriverenza e denuncia degli abusi del potere costituito?
La statua è un frammento di un’opera in stile ellenistico, risalente al III secolo a.C., ritrovata nel 1501 durante gli scavi per la pavimentazione stradale e la ristrutturazione del Palazzo Orsini (oggi Palazzo Braschi), proprio nella piazza dove oggi ancora si trova. Si tratta del gruppo statuario “Menelao che sorregge il corpo di Patroclo morente”, impiegata per l’ornamento dello Stadio di Domiziano, oggi coperto da piazza Navona. Una copia integra del “Menelao che sorregge il corpo di Patroclo morente”, oggi è esposta tra le statue poste sotto la Loggia dei Lanzi a Firenze.
Il Menelao rappresenta un classico esempio del cosiddetto barocco ellenistico, ovvero quella corrente estremamente “patetica” che si sviluppa nel III a.C. alla corte dei successori di Alessandro Magno.
Quello che viene popolarmente chiamato Pasquino è quindi la rappresentazione del momento più drammatico della guerra di Troia, l’attimo in cui cambieranno drasticamente le sorti della battaglia: la morte di Patroclo. Insieme all’amico Achille, Patroclo si recò alla guerra di Troia, dove si conquistò gloria e rispetto, e quando Achille si ritirò dalla battaglia, in seguito alla lite con Agamennone, Patroclo, indossate le sue armi, ne prese il posto, portando scompiglio nelle schiere avversarie e ribaltando le sorti della battaglia. Ma non tenne conto del consiglio dell’amico, ossia limitarsi a respingere i troiani dall’accampamento acheo, e questo ne causò la caduta. In un primo momento Apollo lo stordì, colpendolo due volte e respingendolo alle mura di Troia, che altrimenti avrebbe conquistato, poi Euforbo lo ferì con un colpo di lancia e infine Ettore gli diede il colpo di grazia, trapassandolo con la lancia dalla propria biga. Spogliato delle armi, il cadavere di Patroclo fu conteso dai due schieramenti nel corso di una lotta furiosa che si concluse solo con l’arrivo di Achille: al suo grido, i troiani fuggirono in preda al terrore all’interno delle mura della città. Sconvolto dal dolore, dopo aver organizzato i giochi funebri in onore del compagno, Achille riprese parte alla guerra.